La rigenerazione urbana è per le persone

Contributo di Agnese Bertello al Decalogo per la Rigenerazione Urbana di ANCE presentato durante il Convegno “Com’è bella la città”, a Parma, maggio 2022

 

Quando si parla di rigenerazione urbana, si tende spesso a discutere di leggi e strumenti che regolano la realizzazione di nuovi edifici, volumi e spazi: quello che si può demolire, quello che si può costruire, dove e come. Le persone che abitano quegli spazi, che abitano il quartiere, e quelle che andranno ad abitarci restano fuori dal quadro. Il ruolo di Ascolto Attivo, in questo laboratorio, è stato quello di portare all’interno di questa riflessione le persone, le relazioni, la comunità, la vita quotidiana.
Il presupposto da cui queste riflessioni nascono è uno: la rigenerazione urbana è per le persone. Per questo, deve partire dai bisogni degli individui, deve essere orientata dall’ascolto delle persone e delle comunità, deve integrare l’esperienza quotidiana delle persone all’interno dello scenario strategico e del progetto. L’efficacia di un processo di rigenerazione urbana – cioè la sua capacità di essere generativo nel tempo e di stimolare senso di appartenenza – dipende direttamente dalla capacità di rendere protagonisti coloro che vivono i luoghi su cui si vuole intervenire.

Restituire protagonismo significa andare oltre un ascolto di facciata, quello che lascia poi agli esperti il compito di delineare le soluzioni, mettendosi piuttosto nell’ottica dell’indagine condivisa, dell’esplorazione, della co-progettazione, del confronto serrato e puntuale. Significa costruire un processo duraturo, continuativo, che promuove l’attivazione delle competenze degli abitanti, prima fra tutte la capacità di immaginare, e la nascita di nuove visioni, di nuovi legami, la creazione di innovazione sociale e urbana, di quelle progettualità che fanno di uno spazio rigenerato un luogo vissuto, vivo, dotato di senso: un luogo in cui ci riconosciamo.
È un processo complesso di cui fa naturalmente parte una certa dose di conflittualità, quella che scaturisce dal coesistere in uno stesso luogo di identità, bisogni, aspettative diverse. Occorre strutturarsi e dotarsi di figure, come i facilitatori esperti di progettazione partecipata, che consentano di gestire questa conflittualità e trasformarla in ricchezza progettuale, concreta, specifica, per arrivare a proposte che tengano conto di tutti i bisogni che un territorio può esprimere nel tempo.
Il protagonismo degli abitanti deve essere visto, insomma, come un elemento strategico della governance dell’intero processo, nei suoi diversi step: dalla fase più squisitamente progettuale fino al momento in cui l’intervento è realizzato, passando per la fase di autorizzazione, cantierizzazione…

In ciascuno di questi step, questo protagonismo assume forme diverse.
Se nella fase progettuale, come abbiamo visto, si tratta di promuovere ascolto, ricerca e co-design, nella fase intermedia è l’uso temporaneo degli spazi a rivelarsi uno strumento straordinariamente utile per conoscere tutte le dimensioni e potenzialità del luogo, per testare le soluzioni, valutarne l’efficacia prima di consolidarle e progredire. Attraverso gli usi temporanei, la comunità si attiva immediatamente, rimane connessa, viva, e cresce con il crescere del progetto.
Sappiamo tutti, del resto, che i processi di rigenerazione urbana sono percorsi lunghi, non privi di ostacoli, ed è possibile che in questo arco temporale le esigenze all’interno del contesto sociale cambino, o che cambi il contesto ambientale, politico, economico. Garantirsi un certo margine di flessibilità, prevedere meccanismi che hanno una capacità di adattarsi e accogliere l’imprevisto è fondamentale. Sempre più l’immagine che va delineandosi è quella di un organismo.

Quindi, ecco, credo che mettere le persone al centro della rigenerazione urbana significhi uscire un po’ da quella gabbia per cui l’attenzione agli aspetti sociali di un intervento di riqualificazione si riduce a destinare una quota parte in metri cubi a un fantomatico spazio per la / della comunità, variamente declinato: una biblioteca? una Casa del Quartiere? una portineria sociale? cohousing? Fablab?
Un po’ nella logica delle compensazioni.
Se guardiamo agli esempi più riusciti di rigenerazione urbana, quelli efficaci, secondo quanto detto all’inizio, e analizziamo che caratteristiche abbiano quei luoghi in cui vediamo che una comunità c’è davvero, quello che notiamo è che si tratta di luoghi informali, ibridi per funzioni e attori, accessibili, densi e inclusivi. Non si programma a tavolino. Avere cura del processo, invece, è essenziale.