Luigi Bobbio

Luigi Bobbio: siamo diventati amici nei corridoi della Federazione torinese del Psiup nel 1968. Seduti per terra, in attesa dell’arrivo di Pino Ferraris, segretario vulcanico e trascinatore. Piaceva ad entrambi raccogliere e raccontare episodi inediti delle “lotte” di cui facevamo parte, dando valore a esperienze e sentimenti ideologicamente “fastidiosi e marginali”. Ridere di noi stessi, ridimensionare le gesta senza abbandonare le mete e le speranze.
 
Poi l’ho visto al lavoro, era un faro: sapevi che anche nelle riunioni e discussioni più incasinate, lui a un certo punto avrebbe preso la parola per “fare la sintesi” e tutti saremmo rimasti sorpresi di essere stati nel complesso più intelligenti di quello che fino a quel momento avevamo creduto.
 
Un leader naturale, nel senso più anglosassone possibile della parola, la limpidezza di pensiero associata alla gradevolezza umana.
 
Ancora non ci credo che se ne sia andato, e sono sorpresa da quanto mi sento straziata. E al tempo stesso ho il dubbio che questo modo di andarsene discreto, in fondo elegante, che lascia tutti spiazzati, gli assomigli molto. Mi sa che da dove è, ci guarda sorridendo.
 
E siccome abbiamo la stessa età (credo fosse nato due o tre mesi prima di me) di nuovo, come spesso mi è successo in passato, un po’ lo invidio e un po’ mi chiedo se anche in questo non mi converrebbe imparare qualcosa da lui.