Perché serve un Dibattito Pubblico sul nuovo stadio di Milano?

Quest’articolo è uscito il 18 dicembre su Arcipelago Milano.

 

Nell’articolo pubblicato su Arcipelago Milano l’11 novembre, Donatella De Con citava una presentazione da me fatta, nel 2017, in Commissione Affari Istituzionali al Comune di Milano, relativamente al Dibattito Pubblico.

In quella presentazione, parlavo della partecipazione del Comune di Milano, in una cordata con molteplici attori, a un bando Life sul tema dei conflitti ambientali che prevedeva di avviare una prima sperimentazione del Dibattito Pubblico in città su un progetto pilota. Il bando non fu vinto, il Dibattito Pubblico ha visto comunque una prima applicazione a Milano sul tema dei Navigli nel 2018, ma la proposta avanzata da Donatella De Con nel suo articolo, quella cioè di sottoporre la realizzazione dello stadio a Dibattito Pubblico resta valida e opportuna.

Del resto, è stato lo stesso Sala, in un articolo apparso su La Repubblica l’8 settembre, a sollecitare Inter e Milan affinché avviassero un percorso di partecipazione vero e proprio in merito alla realizzazione del nuovo stadio. Il sindaco citava le esperienze del PGT e dei Navigli e invitava le due squadre a seguire questi esempi. Insomma, diceva Sala, “fare vedere il progetto ai cittadini” non basta più.

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Nei giorni successivi alla pubblicazione dell’articolo, le due società hanno effettivamente organizzato momenti di confronto con gli abitanti; gli strumenti adottati però non sembrano rispondere in maniera adeguata all’esigenza di trasparenza e approfondimento che una questione complessa, come quella dello stadio, meriterebbe.

Una delle prime attività proposte è stato un sondaggio on line. Su www.nuovostadiomilano.com il parere dei tifosi e dei cittadini viene raccolto attraverso la presentazione di 43 affermazioni a cui si risponde indicando il proprio gradimento (da 1 a 5 stelle). Andiamo da “Il nuovo stadio e l’area circostante dovranno essere moderni e innovativi”, “ecosostenibili” “sicuri per le famiglie”, “facilmente accessibili” a “La costruzione dello stadio rigenererà l’intera area di San Siro”, “Il nuovo stadio porterà benefici alla comunità”.

Ci sono stati poi consigli comunali aperti sia nel Municipio 7 (all’interno del quale si trova lo stadio) sia nel Municipio 8 (che confina con l’area dello stadio). Agli incontri, i cittadini presenti, già organizzati in comitati contro e comitati pro, hanno espresso il loro punto di vista, nettamente diverso da quelle dei tifosi: si è parlato di rigenerazione del quartiere, di viabilità, rumore, del pericolo di una speculazione edilizia e di una conseguente colata di cemento. Durante il consiglio comunale aperto del 18 novembre nel municipio 7, secondo quanto riporta Il Corriere della Sera, il presidente del Milan, Alessandro Antonello, ha concluso sottolineando disponibilità al dialogo delle due società: «Cercheremo di recepire le vostre osservazioni. Non siamo qui a imporre nulla ma a sentire le vostre esigenze, e farle nostre per aiutare ad aggiustare il progetto».

Il 13 dicembre, infine, in Municipio 8 si è tenuto un incontro aperto della Commissione Territorio convocata per “approfondire una soluzione alternativa alla demolizione, ovvero il recupero e la riqualificazione dell’attuale stadio: ciò al fine di consentire un confronto tra le due ipotesi sul tavolo (demolizione e ricostruzione, oppure rigenerazione dello stadio attuale) sotto un profilo tecnico/economico per una valutazione preliminare costi/benefici di ogni singola opzione”. Quella del Municipio 8 è stata un’iniziativa del tutto autonoma con l’obiettivo di coinvolgere e informare i cittadini: i vertici delle due squadre non erano tra i relatori previsti e nessun rappresentante dei club ha partecipato. I medesimi relatori – ing. Mascheroni, ing. Mola e arch. Aceti – che hanno presentato progetti di recupero del Meazza, sono poi stati convocati per un’audizione alla Commissione sport del Comune di Milano, il 16 dicembre.

Le iniziative sono di fatto scollegate tra di loro, non è chiaro quale sia l’obiettivo, e il fatto che non fossero mai presenti insieme tutte gli attori coinvolti – Comune, Municipi, Milan e Inter, cittadini, progettisti, tifosi – depotenzia gli incontri stessi che appaiono occasioni di informazione importanti ma fine a se stesse.

La disponibilità ad ascoltare, che sembra emergere dalle dichiarazioni delle due squadre, e il bisogno di esprimere il proprio punto di vista e le proprie preoccupazioni dei cittadini trovano in questi strumenti una reale opportunità di incontrarsi. Il dialogo non è possibile.

Il sondaggio d’opinione non può che registrare opinioni individuali, più o meno informate, mentre nell’assemblea di stampo tradizionale, i punti di vista si susseguono in un contraddittorio nella maggior parte dei casi volto più alla polemica che alla comprensione dei molteplici aspetti in gioco e dei molteplici interessi. Né nell’uno né nell’altro caso, si creano le condizioni perché i partecipanti possano elaborare un pensiero nuovo, analizzando l’insieme delle questioni, discutendo sui diversi progetti in campo, confrontando punti di vista differenti, in un percorso di apprendimento reciproco.

Adottando questi modelli, la riflessione sul progetto – sugli aspetti positivi e negativi della realizzazione di un nuovo stadio per il quartiere, sul suo impatto globale sulla città – è rimasta confinata territorialmente, derubricata a questione di secondo piano, bloccata su schieramenti opposti del tutto prevedibili, senza poter indagare, collettivamente, scenari alternativi.

Ci sono altri strumenti, molto più efficaci. Organizzare un Dibattito Pubblico significherebbe, invece, esattamente questo: aprirsi a un confronto trasparente, coordinato da un organismo terzo, che è garante della qualità del dialogo, in cui il proponente è chiamato a discutere pubblicamente le ragioni del progetto. Un confronto, che si sviluppa attraverso più incontri, cadenzati nel tempo, con il sussidio di materiali e documenti chiari, che coinvolte tutti gli attori, gli esperti, le istituzioni, che discute del senso del progetto prima ancora che delle sue caratteristiche architettoniche e infrastrutturali, che ascolta e si interroga sulle ragioni di chi vivrà e frequenterà quello spazio, che affronta tutti gli aspetti, riservando particolare attenzione a quelli più critici, che indaga possibilità diverse.

Scegliere un modello molto strutturato, com’è il DP, che fissa a monte, e in maniera chiara, obiettivi, ruoli, modalità, tempi di svolgimento, avrebbe innanzitutto il pregio di portare chiarezza, in una situazione molto confusa.

Adottato nel 1995 in Francia, il Dibattito Pubblico è applicabile a qualunque tipo di impianto e infrastruttura che superi una certa soglia di investimento (300 milioni di euro) e che abbia un impatto significativo sul territorio: dai parchi eolici agli impianti di trattamento rifiuti, dai centri commerciali agli stadi sportivi. Nei vent’anni di sperimentazione è stato applicato in circa 90 casi diversi. Nella maggior parte di questi, alla fine, chi ha proposto il progetto ha scelto di modificarlo, in maniera più o meno importante, accogliendo alcune delle osservazioni e delle riflessioni emerse e motivando le sue decisioni.

In Italia, è stato introdotto con la riforma del Codice degli appalti del 2016 e nell’agosto 2018, dopo l’approvazione dei decreti applicativi, la riforma è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Già prima di questo passaggio, nel nostro paese c’erano state sperimentazioni importanti, dovute, sì, alla presenza di leggi regionali sulla partecipazione in Emilia Romagna e in Toscana che già lo prevedevano, ma non solo: vedasi per esempio il caso della Gronda di Genova e lo stesso caso Navigli a Milano. In nessuno di questi casi italiani ci si è occupati in Italia di un’infrastruttura sportiva. In Francia, invece, sì.

In un articolo, uscito su “Una città”, e oggi disponibile anche in questo blog – “Progettare uno stadio a Roma o a Parigi: governance a confronto” – Marianella Sclavi, sociologa, e Ilaria Casillo, vice presidente della Commissione Nazionale Dibattito Pubblico francese, si confrontano in merito al processo decisionale relativo alla realizzazione di due progetti, uno in Italia e uno in Francia, che si sviluppano a partire dallo stesso anno (2014): lo stadio della Roma Calcio (ancora in corso e di cui si legge nelle pagine della cronaca giudiziaria), e lo stadio della Federazione Francese di Rugby, sottoposto a Dibattito Pubblico e risolto senza strascichi né polemici né giudiziari nel corso di un anno.

L’articolo si conclude con un intervento di Ilaria Casillo che riassume il significato profondo di un’esperienza innovativa come quella del Dibattito Pubblico: “Le esperienze a confronto del dibattito pubblico sullo stadio di rugby e sulla mancata partecipazione dei cittadini sullo stadio di Roma invitano a due considerazioni in particolare: prima di tutto che dietro a un’infrastruttura turistica sportiva di trasporti etc. si gioca ben altro che il “semplice progetto”. Ci sono di mezzo le interazioni col territorio, e delle concezioni dello sviluppo economico e sociale e progetti di mobilità. Si tratta di esplicitare le ricadute territoriali del progetto nel medio e lungo periodo, alle quali i cittadini possono non aderire. Un’infrastruttura in questo senso è un “atto politico” di cui i cittadini, e questa è la seconda considerazione, hanno il diritto di discutere. La mancanza di un confronto serio con i cittadini sulle grandi opere rinvia quindi non solo a un vuoto di legittimità della decisione, ma prima di tutto a un vuoto democratico destinato ad allargarsi e a toccare altre sfere della vita pubblica.”

Aggiungo a queste considerazioni un invito rivolto direttamente a Inter e Milan: scegliendo di confrontarsi con il territorio, adottando un modello che si fonda sulla trasparenza e sul dialogo, sarebbero, infatti, proprio le squadre ad averne un diretto giovamento, nella veste di portatrici di uno stile agonistico coraggioso e innovativo.