Quale futuro per l’Arsenale di Pavia?

Pavia è cresciuta. Un eufemismo? Una metafora? Macché. Pavia è cresciuta proprio in termini di superficie: per l’esatezza, oggi la città ha 140.000 m2 in più rispetto a qualche mese fa. A tanto infatti corrisponde lo spazio dell’Arsenale pavese che nel 2015 è passato dal demanio militare a quello civile. Un salto di categoria di importanza capitale: l’area oggi è a disposizione della città, è un bene pubblico da integrare nella politica urbanistica della città.

Un’opportunità, sì, e anche una bella gatta da pelare, diciamolo. Che fare, infatti, di uno spazio così grande – affascinante, collocato in posizione strategica – ma da recuperare? Cosa farne in un’epoca di crisi come quella che attraversiamo con le casse dei comuni vuote, gli investitori che vogliono puntare sul sicuro e gli imprenditori che preferiscono migrare? Come trasformarlo in un’occasione di rilancio?

A Pavia, ad arrovellarsi su queste domande ci si è messa un’associazione cittadina, composta da qualche centinaio di persone e associazioni storiche del territorio: Arsenale Creativo. Un’associazione di scopo, come ricordano i fondatori, nata con l’obiettivo di fornire un contributo concreto affinché la riqualificazione dell’Arsenale avvenga in maniera condivisa, elaborando, attraverso percorsi di progettazione partecipata inclusivi, un progetto di recupero dell’area che guardi ai bisogni reali e alle potenzialità nascoste dell’intera città e del territorio circostante.

È così che nella primavera del 2015, l’associazione Arsenale Creativo lancia un percorso di progettazione partecipata e lo fa in maniera completamente autonoma, assumendosene oneri e onori. Con ogni probabilità è questo il primo caso in Italia di un comitato di cittadini che, in mancanza di una esplicita e convinta adesione dell’amministrazione pubblica locale, non solo avvia comunque un percorso di questo tipo, ma lo fa scegliendo di farsi affiancare da un un gruppo di professionisti esperti di democrazia deliberativa (il team di Ascolto Attivo, società fondata dalla sociologa Marianella Sclavi), con la consapevolezza quindi che per impostare e guidare un serio processo partecipativo servono competenze specifiche, e lo finanzia autonomamente.

Il processo è importante tanto quanto il risultato, anzi un buon processo è un pezzo significativo del risultato. Che fare, dunque? La scelta è stata quella di organizzare tappe successive che consentissero ai cittadini di prendere consapevolezza del tema, sviluppare ipotesi progettuali e metterle a punto insieme.  Il percorso di Progettazione Partecipata è partito con una fase di ascolto del territorio, attraverso una sessantina di interviste di profondità con i cittadini, uno spaccato delle diverse anime della città.

Da queste interviste, il desiderio di riappropriarsi del luogo in maniera intelligente, utile, funzionale ai nuovi bisogni della città spicca in maniera evidente: l’Arsenale può essere un “luogo di rigenerazione pioneristico”, “deve diventare permeabile, attraverso un lavoro di tessitura per recuperare la cesura che rappresenta”, occorre un lavoro di “agopuntura urbana” e l’assunzione di una “responsabilità sociale” da parte dei cittadini rispetto all’area che deve essere vissuta come bene comune, una “scommessa di coesione sociale”. Sono queste le parole che hanno usato i protagonisti di questa avventura.

All’ascolto è seguita l’esplorazione; la seconda fase della progettazione partecipata si è articolata in due iniziative principali: una mostra sulle esperienze analoghe condotte a livello internazionale, e, finalmente, a giugno 2015, l’apertura dell’Arsenale.

Scoprire quello spazio, accompagnati da guide che ne raccontavano la storia, è stato vitale per il processo. E i pavesi non hanno avuto bisogno di farselo ripetere: quasi 3.000 le persone che si sono inoltrate tra edifici ottocenteschi, capannoni e nuovi boschi. Un momento che ha consentito di mettere in moto pensieri nuovi intorno a quello spazio, di sentirlo finalmente proprio, dopo una vita passata a girare intorno al suo perimetro, senza poterne mai varcare la soglia.

Il successo dell’iniziativa ha preparato il terreno all’altro evento fondamentale del percorso di Progettazione Partecipata: l’Open Space Technology (OST). È, questo, un laboratorio creativo che consente a tutti i partecipanti di presentare idee e proposte, condividendo la riflessione con tutti coloro che sono interessati, in maniera assolutamente libera. Libertà e responsabilità della partecipazione sono le basi dell’OST che, per il resto, fissata la cornice, si sviluppa ogni volta in maniera unica e originale.

A Pavia, le giornate di confronto, realizzate presso la sede Apolf,  sono state due. L’interrogativo era uno, invece: Quale futuro per l’Arsenale?
Dai 208 partecipanti, sono venute 40 proposte, raccolte nell’Instant book consegnato a tutti alla fine del lavoro. Un carnet ricco che individua alcuni filoni principali – ambiente e sport, iniziative sociali e aggregazione, imprenditoria, educazione e formazione – e che non tralascia le riflessioni sui vincoli (architettonici, ambientali, finanziari) e sulla sostenibilità economica dei progetti.

Tutto questo materiale – le interviste, i materiali della mostra, le proposte dell’OST – sono state ulteriormente rielaborate dai cittadini in altri due appuntamenti per finalizzare un documento ufficiale, quello delle Linee Guida, che fosse organico, coerente, e racchiudesse in sé non solo le idee progettuali, ma la filosofia di fondo che le ha ispirate. “L’ex Arsenale deve essere pensato come un sistema, che vive di relazioni tra i diversi elementi che lo compongono; uno spazio multifunzionale dove si incontrano e interagiscono persone con interessi e necessità diverse”, vi si legge. “Concretamente, significa mettere a punto una proposta che ragiona sugli spazi in un’ottica di efficienza, di condivisione, che evita di duplicare strutture e propone invece un’integrazione delle attività e dei progetti”.

Che faccia dovrebbe avere, dunque, il nuovo Arsenale, secondo quanto espresso dai cittadini durante questi 4 mesi di lavoro? “Il nucleo centrale della proposta”, si dice nella parte conclusiva delle Linee Guida, “può essere rappresentato dal polo educativo, intorno al quale si collocano gli spazi per la proposta culturale e artistica, che vedono come punto di grande richiamo l’auditorium e il polo museale espositivo. Due elementi in grado di generare anche una crescita dal punto di vista turistico, in connessione con la presenza di locali per giovani e altre fasce di popolazione, oltre a spazi di valorizzazione delle tipicità enogastronomiche. Inoltre, realtà produttive e innovative, imprese sociali, laboratori artigianali, occupano il polo produttivo, dando concretezza a un’idea di innovazione di sistema, di rete e di sharing economy. La vita sociale sarà poi alimentata dalle associazioni, in grado di presentare una proposta che coinvolga target diversi e intenzionate a operare in sinergia anche logistica (con la “Casa delle associazioni”) coprendo ambiti socio-assistenziali, sportivi, interculturali ecc. Un organismo sociale pulsante posto dentro un organismo ambientale vivo e protetto.”

Nel novembre 2015, Arsenale Creativo ha aderito alla Manifestazione di Interesse bandita dal Demanio e dal Comune di Pavia, presentando proprio il progetto elaborato con i cittadini che oggi sono, insieme alle altre realtà che hanno partecipato al bando, interlocutori diretti in questo lungo processo.

Cos’ha di interessante da dirci questa esperienza?
Quello delle aree dismesse è un tema enorme per il paese. Le domande che ci siamo posti all’inizio, e che sono il rovello dell’amministrazione e i cittadini di Pavia, sono le stesse che si trovano ad affrontare tutte le amministrazioni sul cui territorio insistano siti dismessi. La novità nel caso pavese è rappresentato dal ricorso a strumenti di progettazione partecipata, di coinvolgimento dei cittadini: la centralità del ruolo giocato direttamente dall’Associazione, che ha portato avanti in maniera caparbia, il progetto di coinvolgimento del territorio, in un dialogo non sempre facile con le istituzioni, impegnando tempo, risorse economiche, energie fisiche, competenze, ma anche capacità di imparare e praticare nuovi modi di fare politica, è un elemento ulteriore di novità che merita di essere sottolineato.
In una situazione critica in cui applicare schemi prefeconziati significa votarsi al fallimeno, la risposta da cui può germinare una soluzione praticabile sta  nel favorire una presa in carico da parte del territorio. La “ricetta” pronta non ce l’ha nessuno e non ce l’hanno neanche i cittadini che scelgono di partecipare al percorso di progettazione partecipata. Pavia sta dimostrando che iniziative di questo tipo mettono in circolo energie nuove, mobilitano intelligenza collettiva, competenze specifiche e trasversali, creano reti e legami, e possono evitare che il destino di “non luoghi” che aleggia intorno a tutti quegli spazi “ex qualcosa” si avveri.

 

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