La mediazione, un colpo di fulmine

Per spiegare come intendo il mio ruolo di mediatrice, vi racconto – in breve, promesso – la mia storia. Da avvocato giuslavorista mi sono innamorata della mediazione frequentando un corso per i crediti formativi.
Continuando a formarmi nella mediazione – in particolare su tipologie di mediazione più incentrate sulla persona – e iniziando a formarmi come facilitatrice, frequentando corsi specifici in materia di comunicazione e facilitazione di grossi gruppi ed arrivando persino a fare corsi di teatro, quindi sperimentandomi quotidianamente sia come mediatrice che come facilitatrice, nel tempo è cambiato anche il mio modo di fare il mediatore.

Ho ben compreso, anche attraverso l’esperienza, come sia necessario che le parti in lite si trovino in un effettivo spazio di autodeterminazione, uno spazio in cui possano veramente decidere se e come risolvere la loro lite. Di conseguenza, nelle mie mediazioni, spiego subito questo passaggio dedicandoci del tempo e cerco poi, a procedura instaurata, di intervenire come mero facilitatore e quindi solo nel caso in cui ce ne sia effettivamente bisogno, limitandomi spesso a creare il clima ideale per riaprire i canali di comunicazione tra le parti e a sottolineare verbalmente o a visualizzare sulla lavagna a fogli mobili i passaggi del loro dialogo per aiutarli a fare ordine e chiarezza.
Insomma, ho compreso che il mio compito è quello di mettere e mantenere la persona al centro!

E per far questo so che conta più come mi rapporto e mi comporto nella stanza di mediazione, quello che trasmetto col mio atteggiamento di ascolto attivo, di empatia e di comprensione, di quanto io dica ‘verbalmente’ e faccia ‘tecnicamente’, permettendo così la creazione di quel clima di fiducia che è un ingrediente necessario di una buona mediazione, qualsiasi essa sia, civile, familiare o comunitaria. Fiducia dapprima nel mediatore, poi nel setting della mediazione (tutti intorno a un tavolo a confrontarci paritariamente facilitati da un esperto) quindi nel dialogo e nel negoziato con la controparte e, infine, fiducia nell’altro, fosse solo nella condivisione di una soluzione conciliativa, spesso in realtà trasformando anche la relazione con lui.

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